Prime considerazioni giuridiche sull’utilizzo commerciale di materiale prodotto con intelligenza artificiale

Può un operatore commerciale avvalersi di prodotti generati da una intelligenza artificiale (“IA”), ad esempio immagini e testi, per proprie operazioni o anche a scopo pubblicitario? Di chi è la titolarità dei diritti di proprietà intellettuale degli output di una IA?
Il nostro Studio si è interrogato sulla questione, ad oggi sviluppata in maniera solo embrionale dalla letteratura giuridica.

Secondo parte della dottrina, l’utilizzatore dovrebbe essere ritenuto titolare di quanto prodotto, avendo investito nello strumento generativo (G. Spedicato, Creatività artificiale, mercato e proprietà intellettuale, Riv. Diritto Industriale, 4, 01.10.2019, pag. 253 ess.; dello stesso avviso, sebbene fondandolo sulla possibilità di beneficiare dei c.d “diritti connessi”: N. Muciaccia, Diritti connessi e tutela delle opere dell’intelligenza artificiale, Giur. Commerciale, fasc. 4, 1.10.2021, pagg. 761 e ss.); il focus si sposta, quindi, sui diritti patrimoniali, tralasciando la questione dei diritti morali d’autore.
Altra dottrina pone, invece, l’accento sulla problematica relativa alla possibilità stessa di tutelare i prodotti di una IA generativa, sia in quanto non frutto dell’ingegno umano sia in quanto potenzialmente privi del carattere dell’originalità (N. Muciaccia, cit.).
Per altri – va detto, ad oggi minoritari – invece, , essendo l’IA unico creatore, e non avendo questa personalità giuridica, nessun soggetto sarebbe invece titolare dei diritti su quanto prodotto dalla stessa (G. Sena, Intelligenza artificiale, opere dell’ingegno e diritti di proprietà industriale e intellettuale, Riv. Diritto Industriale, 1.12.2020, pag. 325).

Per un approccio pratico, è interessante la diversa concessione che emerge dalla lettura delle clausole contrattuali di utilizzo di due delle più diffuse IA generative: ChatGPT (per creazioni testuali) e Midjurney (per la generazione di immagini).
Quanto ai Termini di servizio di Midjurney, si rileva come ogni immagine generata è espressamente di proprietà dell’utente, che ne concede la licenza a Midjurney per l’utilizzo, rielaborazione e commercializzazione, espressamente qualificata come non esclusiva.
Con riferimento ai Termini di servizio Chat GPT: quanto all’utilizzo dei testi generati, Open AI trasferisce – così implicitamente riconoscendo di esserne originariamente titolare – tutti i diritti di utilizzo dell’output di Chat GPT, inclusi espressamente quelli di utilizzo commerciale ponendo tuttavia la condizione di non dover far credere che il testo generato sia stato prodotto da un essere umano.
L’approccio giuridico alla questione appare, quindi, diametralmente opposto. Per Midjurney, l’IA è un semplice strumento, e conseguentemente, poiché l’utilizzatore è titolare dei diritti sull’input, non può che essere titolare dei diritti sull’output. Per OpenAI, al contrario, la natura complessa dell’IA giustificherebbe la titolarità dei diritti in capo al programmatore della stessa – similmente a come avviene per le creazioni del lavoratore dipendente – indipendentemente dal fatto che l’input fosse di titolarità dell’utilizzatore: si considera, evidentemente, preponderante nell’atto creativo l’impatto degli algoritmi di base del software.

In mancanza di una più estesa analisi dottrinale, e delle prime pronunce giurisprudenziali – se non di un auspicato intervento legislativo europeo –, ad oggi l’operatore commerciale non può che rimettersi ai terms and conditions del software generativo che utilizza, dovendosi tuttavia, ad avviso di chi scrive, ritenere preferibile l’approccio dottrinale che vede l’utilizzatore come titolare di tutti i diritti – di sfruttamento economico, si intende – prodotti da IA generativa, mentre può escludersi in capo ad alcuno la titolarità dei diritti c.d. morali d’autore.

Avv. Giovanni Albrile